La condizione dei gay nella prima,
grande ricerca realizzata in Italia


Radiografia
dell'omocoppia



di NATALIA ASPESI
 

MILANO - Hanno voglia di accasarsi, di avere figli, sognano il grande amore, non sono libertini, spesso sono cattolici praticanti, hanno ruoli paritari, sia nel sesso che nella vita di coppia, non sono effeminati, se uomini, o mascolini, se donne. Sono gli uomini gay, le donne lesbiche di oggi, quelli che Marzio Barbagli e Asher Colombo, docenti di sociologia all'Università di Bologna, (il primo alla facoltà di statistica) definiscono omosessuali moderni, a cui hanno dedicato la prima grande ricerca condotta in Italia. Sette anni di lavoro, un campione di convenienza di 3.502 persone omo o bisessuali, interviste registrate a 89 uomini e 47 donne, lunghe da una a sette ore: il libro Omosessuali moderni (Il Mulino, pagg. 322, lire 30.000) dovrebbe colmare quel divario profondo "fra quanto diciamo ogni giorno sugli omosessuali e quanto sappiamo su di loro".

Perché dopo tutto, tra accettazione e indifferenza, ancora li chiamano, magari bonariamente, busoni, finocchi, ricchioni, checche, culattoni; e nelle conversazioni, nei giornali, nei film, anche sommamente corretti, e soprattutto in televisione che è il mezzo di informazione più arretrato, sfugge sempre un luogo comune, un doppio senso, una falsità, un pettegolezzo, qualche mossetta, o travestimento, tante stupidaggini. Siccome la massima curiosità dei non addetti (o degli addetti stessi) riguarda la sessualità, ma cosa faranno mai a letto due uomini o due donne, si immagina che i lettori meno scrupolosi, saltando ricordi di infanzia, reazioni familiari e coming out, correranno subito a pagina 109, al capitolo dedicato alla sessualità. Qui una serie di delusioni: l'omosessuale moderno non è come quello antico che se la spassava sul serio, sia nella Firenze rinascimentale che nella Berlino anni '20: se è moderno fa l'amore quanto un eterosessuale, cioè in molti casi poco, lo fa di più se ha un partner stabile, anche a causa, negli ultimi anni, dell'Aids. Le donne poi, un disastro: il 13% ha avuto una sola partner nella vita (4% gli uomini), e mentre il 36% dei gay ha dichiarato di averne avuti più di 50, solo il 4% delle lesbiche ha avuto un ricco curriculum: niente a confronto della critica d'arte e autentica artista del coito, Catherine Millet, che ha recentemente raccontato nella sua autobiografia di aver fatto l'amore con un migliaio di uomini, un lavoraccio.

Comunque c'era più allegra promiscuità negli anni '60 e '70, e non solo per gli omo. Adesso i giovani sono molto più timidi, come racconta Matteo Bianchi nel suo romanzo Generations of love (1999, Baldini & Castoldi) il cui protagonista entra per la prima volta in una sauna a 25 anni: "La nostra è una generazione che prima ha razionalizzato la propria condizione sessuale e dopo ha provato a viverla. A vent'anni conoscevamo già i testi chiave della letteratura omosessuale, il problema dei nostri diritti civili, l'importanza dell'accettazione in famiglia, la minaccia del virus. Conoscevamo tutto sulla teoria: era la pratica che ignoravamo". La scarsa disponibilità a cambiare partner vorticosamente è, secondo gli autori, un cambiamento culturale molto rilevante rispetto al passato. Quanto al sesso, alla mitizzazione della penetrazione anale, simbolo riconosciuto dell'omosessualità, viene il sospetto che non sia praticata tra uomini più di quanto non lo sia tra pie coppie etero, negli anni, scarsi, di autentica passione. I termini per definire i ruoli, trattandosi di scienza, sono pudicamente freddi e un po' ridicoli rispetto a quelli allegri e forse spregiativi usati nelle chiacchiere: c'è chi è ricettivo e chi insertivo, ma contrariamente a quanto immaginano gli ignoranti, magari leccandosi i baffi, non esistono quasi mai ruoli codificati, chi fa il maschio e chi la femmina, ma piuttosto un fervido scambio di gentile reciprocità, di cortesie di ogni tipo.

E le signore che insieme riempiono la fantasia degli uomini, cosa fanno quando lo fanno sul serio, tra loro, per amore o passatempo? Tutto quello che viene in mente a tutti, anche la famosa penetrazione, perché sono passati i tempi eroici del lesbismo politico separatista, quando quella cosa là era considerata inaccettabile e immorale perché segno di dominio maschile. Definendoli moderni, gli autori ci tengono a mettere in rilievo la distanza che separa gli omosessuali di oggi da quelli del passato, quando erano perseguitati o comunque messi al bando dalla società o disprezzati, neanche tanto tempo fa. E per esempio sta avendo molto successo in questi giorni un film francese, "L'apparenza inganna" di Francis Veber, in cui a un certo punto il vecchio Marcel Auclair dice a Daniel Auteil, "Vent'anni fa io sono stato licenziato per la stessa ragione per cui tu non potrai esserlo". Auclair che ieri perde il posto di lavoro perché omosessuale, Auteil che fingendosi omosessuale oggi non può essere cacciato per non provocare marce di protesta e boicottaggi (l'azienda produce profilattici, figuriamoci).

Gli omosessuali moderni a differenza di quelli "storici" non hanno bisogno di assumere il genere opposto per definire la propria identità e attrarre le persone dello stesso sesso; non hanno alcuna asimmetria sociale, sessuale e di età col partner con cui condividono eguaglianza e reciprocità; dispongono di molti luoghi d'incontro organizzati ed esclusivi, di reti di associazioni e servizi e sono un gruppo di pressione politica ed economica. Soprattutto "il confine fra comportamenti omosessuali ed eterosessuali è diventato sempre più netto e invalicabile e la quota della popolazione maschile che nel corso della vita ha rapporti omoerotici oggi è molto più bassa di un tempo". Chi l'avrebbe mai detto, penseranno gli etero più tradizionalisti e spaventati, convinti che l'omosessualità sia contagiosa e che di omosessuali non ce ne siano mai stati tanti, causa immoralità del presente.

Ma in passato erano proprio gli etero a lasciarsi andare a qualche "vizietto": e per esempio dai ricchi archivi fiorentini risulta che nel XVI secolo la quasi totalità dei maschi, quando le donne erano pressoché irraggiungibili fuori dal matrimonio, praticavano l'omoerotismo con gusto e varietà: passivi da giovinetti, attivi nell'età adulta, non trascurando se necessario un po' di simpatica confusione di ruoli. "L'amor maschio è fanciullo" scriveva un intenditore, il prete veneziano Antonio Rocco, ancora nel 1630. Ma poi si parlò di pederastia, di "vizio nefando", di sodomia, di amore greco ma anche di amore italiano: e non piacerà ai nostri virilisti sapere che sempre il nostro paese fu considerato la patria massima di questa simpatica pratica, tanto che gli inglesi, proprio loro, nel '700 consigliavano ai giovani di evitare nel Grand Tour un paese sodomita come l'Italia.

Se la parola omosessuale fu coniata nel 1869 dal letterato tedesco Karl Maria Benkert Kertbeny, (ma apparve in italiano solo nel 1894) è solo dagli anni '40 del Novecento che ha cominciato ad essere usata, sia pure solo tra le persone più colte. Però le caratteristiche nuove del moderno omosessuale hanno cominciato a formarsi non più di trent'anni fa: e infatti "Pasolini si definì omosessuale negli anni '50, ma non aveva nulla dell'omosessuale moderno: sceglieva partner eterosessuali ed aveva con loro rapporti asimmetrici". Tuttavia anche in passato ci furono personaggi che vissero la loro omosessualità dentro i canoni dell'epoca ma già con caratteristiche moderne. E infatti un giovane italiano inviò a Emile Zola una confessione che lo scrittore fece pubblicare nel 1894 da una rivista scientifica con il titolo Le roman d'un inverti, da cui furono cancellate le parti più scabrose, mentre due anni dopo le stesse furono incluse, ma in latino. "Tandem voluptates nostrae finem habuerunt, et, quod nos maxime delectavit...". Questo scritto è considerato il primo "coming out" di un gay che allora non poteva considerarsi tale, ma che stabilì con i suoi partner rapporti di parità e reciprocità "moderni".

Lo stesso si può dire di Sibilla Aleramo, signora solitamente avvinghiata a grandi insaziabili passioni etero, che agli inizi del Novecento, in un periodo storico in cui lo schema dell'inversione di genere trionfava, scriveva lettere infuocate all'amata Lina Poletti, che nella coppia assumeva il ruolo maschile (Lettere d'amore a Lina, 1982, Savelli): "Tu non dividi l'umanità in maschile e femminile, ma in attiva e passiva...Tu, mia Lina, energica e attiva quanto mai, sei, tuttavia, ti piaccia o no, una cara bionda dolce forma di fanciulla, e l'anima che inconscia ti sale alle labbra e ti trema fra le ciglia quando l'amore e il dolore ti dominano è un'anima di donna, più pronta, più tenera, più appassionata che un'anima d'uomo... E' un'illusione quella che ti trae a virilizzarti. Tu sei donna...".

Barbagli e Colombo arrivano a una conclusione molto gay pride: le omocoppie sono in testa ai mutamenti della vita in comune perché non risentono della tradizionale divisione dei ruoli, maschile e femminile, e in questo senso i partner gay sono più uguali, più alla pari, e rappresentano un modello di convivenza che potrebbe insegnare qualcosa alle coppie etero.

(9 novembre 2001)
 


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